La questione di base: difendere il sistema immunitario
Il virus HIV, il numero e la percentuale dei CD4
Quando l’HIV entra nel sangue, attacca e penetra nei globuli bianchi, le cosiddette cellule CD4. I CD4 organizzano la risposta immunitaria alle infezioni opportunistiche. Una volta dentro i CD4, il virus “replica”, ossia crea delle copie di sé stesso e nel farlo distrugge la cellula ospite. Queste copie dell’HIV, a loro volta, infettano altri CD4 e il processo si ripete.
Naturalmente l’organismo tende a sostituire i CD4 distrutti dall’HIV, ma arriva il punto in cui non ce la fa più a sostenere il ritmo con cui il virus li uccide. Questo di solito accade dopo alcuni anni dall’inizio dell’infezione ed è a questo punto che il numero dei CD4 inizia a scendere in modo consistente. Se hai un numero di CD4 basso (“immunodepressione”) significa che il tuo sistema immunitario non riesce a funzionare correttamente e con il tempo può lasciare spazio a infezioni opportunistiche. Nelle persone sieronegative (che non vivono con HIV) il numero di CD4 oscilla fra 500 e 1.500.
Naturalmente l’organismo tende a sostituire i CD4 distrutti dall’HIV, ma arriva il punto in cui non ce la fa più a sostenere il ritmo con cui il virus li uccide. Questo di solito accade dopo alcuni anni dall’inizio dell’infezione ed è a questo punto che il numero dei CD4 inizia a scendere in modo consistente. Se hai un numero di CD4 basso (“immunodepressione”) significa che il tuo sistema immunitario non riesce a funzionare correttamente e con il tempo può lasciare spazio a infezioni opportunistiche. Nelle persone sieronegative (che non vivono con HIV) il numero di CD4 oscilla fra 500 e 1.500.
Nelle persone sieropositive si ritiene che il pericolo di sviluppare AIDS si alzi significativamente se il numero di CD4 scende sotto 200, o se la percentuale dei CD4 è inferiore al 14%.
In sintesi, maggiore è la quantità di virus nel sangue, più cellule CD4 sono infettate dall’HIV e distrutte, meno efficace sarà il sistema immunitario, anche se questa relazione non è così “meccanica”. Per questo, dopo la diagnosi, alla persona sieropositiva sono fatte sempre analisi “basilari” con prelievo del sangue: si contano sempre sia i CD4 (la cosiddetta “conta dei CD4”) sia le copie del virus presenti nel sangue (la cosiddetta “viremia” o “carica virale”). Anche la percentuale di CD4 è importante, perché è considerata più stabile e quindi più adeguata per valutare l’effettivo andamento dello stato di salute del sistema immunitario.
La “conta” dei CD4 e la valutazione della loro percentuale si fa quindi per prevenire e/o arginare il problema classico dell’immunodepressione.
Le probabilità di rischio di eventi AIDS-correlati possono essere stimate:
http://www.cphiv.dk/TOOLS/EuroSIDARiskScore/tabid/281/Default.aspx
L’aiuto
delle terapie contro l’HIV
Le
terapie contro l’HIV intervengono efficacemente in aiuto in particolare in
questo sforzo di evitare la distruzione dei CD4. Sono dette antiretrovirali.
Spesso sono citate con acronimi provenienti dal nome inglese
(ART=AntiRetroviral Therapy o HAART=Highly Active AntiRetroviral Therapy o
ARV=Anti Retro Viral).
Le ART distruggono le
copie di virus nel sangue (chiamata “soppressione virologica”) affinché i CD4 non
siano più aggrediti e il loro numero risalga o almeno rimanga stabile sopra i
livelli di guardia citati sopra.
Oggi è raccomandato
l’inizio della terapia tra i 350 e i 500 CD4 (e comunque a CD4 inferiori ai 350), o
quando i CD4 diminuiscono di 100 o più ogni anno. E’ inoltre raccomandato con
una carica virale superiore a 100.000 copie. Queste raccomandazioni tengono
anche conto di altri aspetti, riassunti più avanti.
Una terapia di successo
solitamente riesce entro 6 mesi ad abbattere la carica virale fino a valori non
misurabili (detti anche “non rilevabili”, “non quantificabili” o “undetectable”), considerati cioè (per
convenzione) inferiori alle 50 copie. La
non rilevabilità del virus è l’obiettivo primario della terapia. Si ritiene
che la terapia “fallisca” quando la carica virale non scende a valori di non
rilevabilità a 6 mesi dall’inizio della terapia o quando torna ad essere
superiore alle 50 copie per due volte consecutive.
Il
motivo del fallimento potrebbe essere che il virus è diventato (o era già)
resistente a quello specifico tipo di farmaco. Per questo motivo fin dall’inizio,
prima di iniziare la terapia, è
raccomandato un test di resistenza del virus alle varie ART. Lo stesso si
fa per la scelta della terapia alternativa a quella eventualmente fallita.
Inoltre, essenziale per una persona
HIV-positiva in terapia è l’aderenza: al fine di evitare che il virus
sviluppi resistenze ai farmaci che si stanno usando, la terapia va presa nei
modi e nei tempi concordati con il medico curante.
Non solo CD4: il corpo sotto stress e le tossicità dei farmaci
Difendere
i CD4 dall'aggressione dell'HIV non è l'unico elemento da considerare quando ci
si prende cura della propria salute. Le ART hanno allungato
notevolmente l’aspettativa di vita delle persone HIV-positive, tanto da rendere
la sieropositività paragonabile ad una situazione di salute cronica che
accompagna fino alla vecchiaia. Per questo sta diventando sempre più importante
occuparsi anche di altri aspetti che riguardano la complessa interazione tra il
corpo, il virus e i farmaci.
Il corpo sotto stress da infiammazione
permanente
La
presenza del virus HIV rappresenta di per sé un fattore di rischio in
termini di danno d'organo, indipendentemente dagli effetti immunodepressivi che
provoca con l'aggressione ai CD4.
Questo perché l'infezione
da HIV crea uno stato permanente d’infiammazione che obbliga il sistema
immunitario a reagire continuamente ("immunoattivazione") mettendo
sotto stress e logorando il sistema degli organi del nostro corpo: è come
avere un motore continuamente acceso e sotto sforzo!
In questo modo, anche quando i CD4 sono sufficienti
a difenderci dal problema classico del rischio di AIDS, le cellule e gli organi invecchiano più velocemente perché
costantemente sotto stress. A causa dell’infiammazione costante, si può
dire che l’età biologica di una persona HIV-positiva è sempre maggiore di
quella anagrafica.
Di conseguenza aumenta anche il rischio di veder
comparire, a carico degli organi sotto stress, altre problematiche dette
"comorbidità non-infettive" associate all'infezione da HIV.
Da questo punto di vista, le ART aiutano anche in
una certa misura a ridurre questo processo di immunoattivazione abbattendo la
carica virale a livelli di non rilevabilità.
La tossicità dei farmaci antiretrovirali
Le terapie riducono efficacemente il virus nel
sangue a livelli di non rilevabilità, con effetti positivi sia contro
l'immunodepressione sia contro l'immunoattivazione appena citata. Tuttavia le ART hanno anche proprie tossicità che
aumentano in misura spesso non trascurabile il livello di rischio per i vari
organi del corpo.
Le
tossicità sono presenti sia nel breve sia nel lungo periodo. Quelle
nel breve periodo spesso scompaiono quando il corpo si adatta al farmaco,
mentre quelle di lungo periodo sono spesso cumulative, poiché una persona
sieropositiva (almeno allo stato attuale della ricerca) dovrà sempre usare le
ART, come del resto accade per la gestione di molte infezioni croniche. Le
tossicità sono diverse secondo i singoli farmaci, o le diverse tipologie
("classi") di farmaci.
Inoltre, se è vero che alcune tossicità sono
riconosciute come legate ad alcuni farmaci, è anche vero che ciascuno di noi è
più o meno vulnerabile ad esse. In altre parole, l’impatto dei farmaci sul nostro corpo interagisce anche con la nostra
maggiore o minore predisposizione individuale a soffrire di questo o quel
problema di salute, a causa di predisposizioni genetiche e biologiche o a
causa dei nostri stili di vita.
Per tutte queste ragioni è importante, dopo
l'inizio della terapia, avere sempre un occhio rivolto a una serie di aspetti
riguardanti la propria salute, per prevenire o gestire al meglio eventuali
effetti di tossicità dovute ai farmaci.
Infine, è stato dimostrato che chi ha iniziato la terapia più tardi (sotto i 200 CD4) ha anche
riportato un rischio maggiore di soffrire di alcune tossicità, almeno nel
breve termine.